Chi è l’autore nell’era dell’intelligenza artificiale? Un dibattito aperto

a cura di Sineglossa 

L’avvento dell’intelligenza artificiale e la sua capacità di generare opere creative pongono interrogativi inediti sulla nozione stessa di autorialità. Chi è l’autore di un dipinto creato da un algoritmo, o di una poesia generata da un modello linguistico?

Il convegno Che cos’è un autore – Creare con le intelligenze artificiali generative, tenutosi a Bologna lo scorso 25 settembre, organizzato da Sineglossa e CINECA nell’ambito dei progetti GRIN STARTS e European Digital Deal cofinanziati dall’Unione Europea, ha offerto un prezioso contributo a questo dibattito, riunendo esperti di diverse discipline per esplorare le implicazioni filosofiche, giuridiche e artistiche di questa nuova frontiera.

L’autorialità è un concetto in evoluzione

L’intervento del professore Leghissa ha sottolineato le implicazioni a livello filosofico. Da un lato, ha evidenziato il fatto che le macchine cibernetiche mostrino la natura tecnica e combinatoria del nostro linguaggio e della produzione artistico – letteraria, ampliando la tipologia di artefatti con cui gli esseri umani si sono co-evoluti. Perché, come afferma Leghissa, seppure le macchine non pensano, l’essere umano si comporta come se pensassero, e, nonostante l’assenza di “agency” dell’intelligenza artificiale – che dovrebbe farci parlare di “macchina cibernetica” e non di “macchina intelligente” -, tali software sono comunque in grado di creare opere dotate di significato, come aveva già notato Calvino nel 1967, nel noto saggio Cibernetica e Fantasmi.

Nel corso del suo intervento Leghissa inserisce, d’altra parte, la questione dell’autorialità nel contesto più generale delle dinamiche sociali e istituzionali. Sottolinea come la macchina cibernetica, come tutti gli oggetti tecnici che popolano la nostra nicchia ecologica, sia parte di apparati di controllo e di dispositivi istituzionali, i medesimi entro i quali sono prodotti i discorsi dell’arte e della letteratura, che determinano gli spazi di libertà con cui l’autore può far uso delle nuove tecnologie. Così, in questo contesto, “costruire margini di libertà” – afferma Leghissa – “credo dipenda solo da noi in quanto cittadini di paesi democratici, che hanno a cuore la valenza liberatoria ed emancipatoria che da sempre ha l’arte”.

Sulla proprietà artistica e intellettuale nell’era digitale

L’intervento della professoressa Francesca Lagioia affronta le questioni giuridiche e concettuali legate all’idea di una capacità creativa delle intelligenze artificiali. Innanzitutto, solleva il tema dei diversi tipi di creatività esistenti:

  • la creatività combinatoria (combinare elementi già noti in modi nuovi);
  • esplorativa (innovare all’interno di uno schema esistente, come nel caso del Requiem di Mozart);
  • trasformativa (creare un nuovo ambito concettuale, come avvenne con l’impressionismo), tipologia, quest’ultima, che l’IA attualmente non possiede.

→ Leggi anche: L’intelligenza artificiale richiede una nuova definizione di creatività?

A livello giuridico, il dibattito sulla creazione di opere d’arte attraverso intelligenza artificiale, ricorda Lagioia, va affrontato su due piani:

  1. se e come si possano usare dati protetti dal diritto d’autore per addestrare i modelli di IA;
  2. se e come l’IA possa imitare non solo opere specifiche ma anche la “personalità artistica” di un autore.

Per la prima questione, da un lato chiedere il consenso aiuterebbe gli autori a trarre vantaggio dalle loro opere; dall’altro, la richiesta di consenso renderebbe più oneroso e meno accessibile lo sviluppo di modelli di IA per soggetti meno facoltosi, consolidando il monopolio di poche grandi aziende tech.

Per il secondo tema, si apre la questione di una possibile competizione tra gli artisti e un “doppelgänger digitale”, che rischierebbe di mimare la creatività umana – come ha mostrato nel 2016 il caso dell’esperimento lanciato da Microsoft The Next Rembrandt – aprendo il dibattito sull’esigenza di nuovi concetti, come quelli di “diritti di identità o personalità artistica”, in aggiunta ai diritti di copyright​.

Il regolamento europeo, in particolare l’AI Act, include il diritto di opposizione per gli autori (Text and data mining), che però comporterebbe la necessità di riaddestrare i modelli da zero nel caso in cui un autore si opponga, operazione altamente complessa e costosa. Il dibattito, conclude Lagioia, mette in luce la necessità di un equilibrio tra i diritti degli autori e la praticità tecnica di tali normative, specialmente per modelli linguistici usati anche in ambiti non creativi​.

Authorship e Accountability

Nel terzo intervento, il professor Maurizio Lana ha ripercorso alcune riflessioni storiche sulla natura dell’autorialità, evidenziando come questa epoca storica non sia stata la prima a confrontarsi con la complessità del tema. Già San Bonaventura da Bagnoregio nel Medioevo distingueva vari ruoli (scriba, compilatore, commentatore, autore) per chi produceva testi. In questo senso l’IA può essere vista come una continuazione di questo dibattito, e non come una rottura netta con il passato.

Nuove questioni che l’identità autoriale solleva in relazione agli strumenti digitali sono, ad esempio, l’importanza di stabilire una chiara accountability. In un mondo dove l’IA partecipa alla creazione di contenuti, a chi viene attribuita la responsabilità? “Se svincoliamo l’authorship dal soggetto umano, a chi chiederemo conto di ciò che è stato scritto? Ad un artefatto o a chi lo ha usato?”, si chiede Lana.

In ambito umanistico, si tende a considerare l’IA come dotata di una sorta di creatività autonoma, ma questo rischio potrebbe portare a ridurre l’essere umano a “macchina fungibile”, simile ai sistemi di IA che l’essere umano crea: secondo Lana è per questo necessario mantenere una distinzione tra il soggetto umano e la macchina, e considerare la tecnologia come uno strumento di scrittura, anziché un autore indipendente.

Richiamando il concetto di documentalità di Maurizio Ferraris, secondo cui ogni documento dovrebbe avere un soggetto responsabile, in una società come la nostra, che si basa su documenti (contratti, certificati, ecc.), attribuire l’autorialità a sistemi di IA potrebbe creare una società in cui il concetto di responsabilità personale viene offuscato, o distribuito in modo poco chiaro.

La creatività umana come fenomeno storico e collettivo

Francesco D’Isa, a seguire, ricorda come l’invenzione della fotografia avesse già sollevato preoccupazioni sull’autorialità, spingendo la società del tempo a chiedersi se l’autore fosse il fotografo, o la macchina fotografica. L’IA rappresenta solo una delle forme di automazione che l’essere umano ha sempre utilizzato per estendere le proprie capacità creative. Proprio come l’uso della prospettiva nel Rinascimento, l’automazione, seppur non possieda agency e intenzionalità, ha una sua forma di vita propria, autonoma, che trascende l’uso che di quella automazione fa l’uomo, e a cui l’artista delega parte del proprio lavoro.

L’autorialità, nota D’Isa, è un’illusione culturale, particolarmente radicata nella società occidentale, che tende a idealizzare l’autore come figura creativa indipendente. Ma l’autore non è tanto una singola entità creativa, quanto piuttosto un fenomeno collettivo e storico: ogni opera dell’ingegno umano è intrinsecamente collettiva, frutto di una somma di influenze culturali, sociali e materiali. Il fatto che ci sia bisogno di identificare un singolo autore risponde più a esigenze di responsabilità e di retribuzione economica, che non a una reale distinzione ontologica.

Sempre su questa provocazione, D’Isa si chiede allora perché per la nostra società sia così importante la funzione autoriale: “L’illusione dell’autorialità individuale è una rassicurazione che adottiamo per riconoscere l’essere umano come artefice del proprio destino e delle proprie opere, per evitare di riconoscere la meccanicità dei nostri atti e del nostro pensiero.

L’IA per superare i limiti dell’immaginazione umana

L’artista Roberto Fassone ha invece affrontato il tema dell’autorialità condividendo l’approccio sperimentale e personale con cui usa l’intelligenza artificiale nella propria produzione artistica. Nel suo lavoro, racconta, l’IA non è uno strumento tecnico per ottenere risultati predeterminati, ma un medium, un canale che permette di entrare in contatto con dimensioni sconosciute, simile a un ponte tra mondi diversi. Questo punto di vista richiama una pratica quasi “spirituale” o “esoterica” nell’interazione con l’IA, che va oltre il semplice utilizzo tecnico.

Usando prompt poetici e metaforici con IA come Midjourney, Fassone è riuscito a ottenere immagini che sembravano emergere da una “frequenza” diversa – “stavo a una sorta di seduta spiritica con la macchina” riporta.  Secondo la sua esperienza, l’IA potrebbe aiutarci a superare i limiti della nostra immaginazione, creando nuove forme espressive e nuove modalità di sentire e interpretare il mondo.

L’IA come co-coreografa e interprete

Sempre nell’ottica di esplorare il modo in cui autori e autrici intendono il proprio ruolo nella relazione creativa con autori non umani come le intelligenze artificiali, nel corso del convegno l’artista Kamilia Kard ha illustrato il suo rapporto con l’IA attraverso un progetto intitolato Herbarium Dancing for an AI. Il progetto mostra un’IA che agisce come una “coreografa”, interpretando e traducendo i movimenti umani in forme nuove. Inizialmente, l’autrice ha cercato di trasferire con precisione i movimenti delle danzatrici a un ambiente digitale (nel metaverso di Roblox); nel corso del procedimento informatico si sono generati errori, variazioni inaspettate e movimenti che né l’artista né i danzatori avevano immaginato.

Ruolo dell’artista è stato quindi accogliere questi errori come fossero la rappresentazione di una sorta di autorialità dell’IA, trasformandoli in un elemento artistico. A questo punto, Kard ha trasferito questi movimenti alle danzatrici, chiedendo loro di imparare la coreografia che l’IA aveva generato, e l’ha applicata alle piante digitali nel progetto, cercando di mantenere la loro “natura vegetale”. Per rendere le piante compatibili con i movimenti umani, ha creato una versione antropomorfizzata che si è evoluta in una sorta di danza interspecie. Con questo progetto, Kard ha mostrato la possibilità di una IA  “mediatrice” e “co-coreografa” che, interagendo con gli elementi umani e vegetali, ha superato l’intenzione artistica originaria, aprendo a nuove possibilità espressive.

Autorialità come Filtro dell’Immaginario Collettivo

Infine, lo scrittore Wu Ming 2 ha sottolineato che l’autorialità è spesso un processo di elaborazione piuttosto che un atto di creazione assoluta: l’autore seleziona, rielabora e reinterpreta l’immaginario collettivo, filtrando in un’opera influenze e riferimenti comuni, con l’intento di produrre un testo “nuovo”. In questo processo, finché l’autore è umano, è possibile tracciare l’origine delle informazioni e dei riferimenti utilizzati in un’opera.

Tracciabilità che si perde con i sistemi di IA, poiché è difficile identificare chiaramente le fonti e la provenienza del materiale utilizzato per l’addestramento. Rispetto alla discussione su intenzionalità e produzione di significato da parte di opere create con l’IA, secondo Wu Ming 2  il significato dipende dall’intenzionalità umana, che però è assente in una macchina.

Altre questioni si aprono rispetto al tema del lavoro, sul piano etico ed economico, perché è diffusa la tendenza a svalutare il lavoro umano quando frutto di collaborazioni con le macchine. Inoltre, l’uso intensivo di IA, specialmente in processi creativi, richiede una grande quantità di energia, contribuendo a un significativo impatto ambientale. Questo aspetto rappresenta un costo nascosto della collaborazione con le macchine, spesso trascurato nel dibattito sull’IA e la creatività.

Rivedi il video seguente:

 

Condividi l'articolo: